IL TEMPO E LA FATICA - di Angelo Quaglia
Qui, nella vasta pianura che abbiamo definito padano-veneta, regna una grande uniformità. Il paesaggio, sempre uguale a se stesso, sembra quasi riflettere la immutabilità del costume, del lavoro, della fede, della lingua di coloro che vi abitano: natura e umana presenza formano una realtà unica, indivisibile e impenetrabile, in cui il tempo ha una parte essenziale e determinante. Infatti tutto viene fatto sul ritmo del tempo, ogni lavoro ha il suo momento, ogni scelta operativa è calcolata, programmata ed eseguita in modo che la sua conclusione avvenga nel tempo previsto: e la vita dell’uomo, che dipende dai frutti del lavoro, si svolge nel lavoro eseguito nel tempo...
In questo senso Il Tempo e la Fatica di Angelo Quaglia è un libro religioso, che racconta i riti e i ritmi della vita agraria come è stata per secoli fino a cinquant’anni fa.
Fra parentesi, quella che ho fatto in tempo anch’io, nella mia infanzia, ad incontrare nelle settimane di settembre degli anni ’50 del secolo scorso, passate dai parenti fra Revere, Libiola, San Giovanni. E ne serbo ancora il sapore: l’odore della stalla, l’asprigno dei primi mosti, il dolciastro del brodo di gallina fatto apposta per noi che venivamo dalla città, l’amaro dell’acqua del pozzo e i tonfi sugli argini del Po.
Quando si apre un libro di vita agraria, la prima cosa che si cerca è capire da dove si inizi e dove si voglia arrivare: nostalgia, rimpianti, malinconie?
Niente di tutto questo in Il Tempo e la Fatica...
Fra parentesi, quella che ho fatto in tempo anch’io, nella mia infanzia, ad incontrare nelle settimane di settembre degli anni ’50 del secolo scorso, passate dai parenti fra Revere, Libiola, San Giovanni. E ne serbo ancora il sapore: l’odore della stalla, l’asprigno dei primi mosti, il dolciastro del brodo di gallina fatto apposta per noi che venivamo dalla città, l’amaro dell’acqua del pozzo e i tonfi sugli argini del Po.
Quando si apre un libro di vita agraria, la prima cosa che si cerca è capire da dove si inizi e dove si voglia arrivare: nostalgia, rimpianti, malinconie?
Niente di tutto questo in Il Tempo e la Fatica...
prefazione di Francesco Butturini
pp. 279 - 15,00 euro
Angelo Quaglia è nato a Oppeano (VR) il 2 giugno 1926. Per oltre trent’anni è stato maestro di scuola elementare a Oppeano (capoluogo di un comune nella Bassa Veronese) di cui è stato sindaco dal 1960 al 1970. Laureatosi in lettere classiche presso l’Università di Padova, dal 1975 al 1982 ha insegnato Italiano, Latino, Greco e Storia nel Liceo Classico “Alle Stimate” di Verona. Da oltre vent’anni ha lasciato la professione di insegnante e lo stato civile ufficialmente lo dichiara “a riposo” o “in quiescenza”, ma chi lo conosce sa che temperamenti come il suo difficilmente si acquietano e si compiacciono di “star in villa e non far nulla”. È giunto perciò, superati gli ottant’anni, a consegnare alle stampe questo suo terzo libro.
Nel 1990 ha visto la luce il suo primo lavoro L’anima, la festa, la magia, (Edizioni Scaligere) nel quale delineava la fisionomia della religiosità popolare del Medio Veronese Orientale.
Nel 1997 uscì Dizionario di parole dimenticate da ricordare in dialetto veronese, per i tipi di Demetra. Un dizionario nella forma – imposta dalle esigenze editoriali – un trattato nella sostanza. La cura costante per l’analisi etimologica, per la ricostruzione del gesto simbolico, per la ricerca delle radici storiche dei fenomeni religiosi e delle superstizioni nella società agraria, ne rappresentavano i momenti metodologici fondanti e il principio stesso dell’ispirazione.
Egli ha visto cambiare profondamente il mondo in questi ultimi decenni. Giovane uomo, alla metà degli anni Cinquanta, apparteneva alla generazione di coloro che seppero raccogliere le macerie per costruire una nuova Italia, ma potevano ancora ricevere la ricompensa delle loro fatiche nella possibilità di gustare l’ingenua purezza delle aie cantate da Pascoli e di contemplare i luminosi tramonti celebrati da D’Annunzio. Oggi condivide con i nipoti l’esperienza del computer e della pervasività dell’elettronica.
Dalla mite fragilità dell’uomo tradizionale, delineato da Mircea Eliade nel Mito dell’eterno ritorno, all’aggressiva solitudine dell’homo oeconomicus globalizzato, naufrago nella società liquido-moderna descritta da Bauman, si è compiuta un’irreversibile parabola, della quale egli dà testimonianza non con spirito di nostalgia, ma con la serenità di chi crede ancora nella capacità delle persone di non perdere l’anima.
Ora consegna al pubblico questa nuova ricerca, nata dall’esperienza e dalla rifles-sione, grato all’Editore Bonaccorso per aver lasciato l’opera nella forma originale in cui è stata concepita. Con la inseparabile consorte Anna, con la quale condivide la vita da sessant’anni, sta preparando, con entusiasmo e rigore di metodo, un nuovo lavoro, più ricco di memoria che di scienza, di vita che di studio.
I ragazzi di ottant’anni non finiscono mai di sorprendere.resciaoggi". Collabora a "Poesia" di Milano.